Formula 1

EssereFerrari secondo Vettel e secondo me

EssereFerrari secondo Vettel e secondo me


#EssereFerrari dovrebbe incarnare un universo totalizzante, un’immensità capace di rappresentare al contempo toni sacrali ed euforia condivisa. #EssereFerrari è coscienza, ma soprattutto appartenenza; unione, mai esclusione. Invece, talvolta, accade qualcosa di imprevisto. Accade che il gelo porti a creare crepe insanabili all’interno di rapporti già avviati. Accade che il destino sappia solo soffiare contro, molto più beffardamente e insistentemente di quanto non abbia fatto il vento dell’Atlantico a Portimao.

Sebastian Vettel, Gp Portogallo 2020

Pioggia che cade, minuta, indecisa, soffusa. Un singhiozzo quasi soffocato, come l’amarezza diffusa dopo una stagione da dimenticare. Aria che si scuote, che agita bandiere e cuori, che fomenta sussulti. Schiaffi in pieno viso prima e dopo la benefica protezione di un casco. Questa la domenica di Sebastian Vettel, che rispecchia perfettamente la sua gara, il suo stato d’animo. Il tedesco se ne sta lì a mezz’aria, occhi lucidi verso un passato che poteva essere e non è stato, sguardo più sereno in direzione di un futuro nuovo, tutto da scoprire. E un presente infame, da cancellare attimo dopo attimo, perché ormai non conserva neppure più l’effetto placebo di una tranquilla rassegnazione.

Appena un anno fa, nonostante un difficile avvio e un confronto serrato con un eccezionale Charles Leclerc, Seb era l’emblema dell’#EssereFerrari. Le delusioni non erano riuscite a scalfire la fiamma, l’intensità e la vitalità del suo amore nei confronti del Cavallino. Era lì, pronto a dimostrarlo, gara dopo gara, anche quando le cose volgevano al peggio. Oggi invece Vettel pare sui carboni ardenti: si dibatte per non soccombere, si autocensura per non incappare in cadute di stile che non gli appartengono. In sintesi non è più un pilota di Maranello. Ha due piedi fuori dall’uscio e la mano protesa verso quella porta che si sta lasciando alle spalle, abbandonando ogni residua speranza di capire perché le cose abbiano preso questa piega impossibile da raddrizzare.

Sebastian Vettel, Scuderia Ferrari, Stagione 2020

Una fatica innaturale nella guida e un’auto che non riesce proprio ad assecondarlo. Vettel non si riconosce, e non può farlo, semplicemente perché questo pilota è altro rispetto a lui. Sebastian non cerca scuse, ammette le proprie carenze, ma non può accettare tutto passivamente, fingere che vada bene, quando non riesce a trovare nessun aspetto positivo. “Io sto dando il massimo, ma anche quei giri che mi danno buone sensazioni, alla fine si rivelano troppo lenti“. Un mea culpa, un rammarico, acuito da una lucida e brutale ammissione: “Charles sembra semplicemente di un’altra categoria“. Frasi sincere, rilasciate a denti stretti, grazie alla complicità di una salvifica mascherina.

La gara, un tempo teatro naturale di successi, si trasforma nell’ennesimo calvario. Bloccaggi, una lotta cronica con le gomme anteriori, mai in temperatura, feeling scarsissimo che si palesa a tratti, in modo troppo discontinuo per garantire una rimonta degna di questo nome. I pochi sorpassi sono la solita sequenza di una fame insoddisfatta, poiché fagocitano chi non ne ha, chi arranca, chi ha una vettura stanca. Il punticino iridato, magrissimo premio di consolazione, arriva anche grazie ai guai di Norris e Stroll, ma di certo non è abbastanza per saziare.

“Per me è stato difficile, una gara di alti e bassi, con alcuni giri andati bene e altri no. Ho faticato parecchio, come generalmente mi capita quest’anno. Da parte mia riscontro tante difficoltà a mettere le cose insieme a livello di assetto, mentre per Charles le cose sembrano andare nella giusta direzione. Inizialmente non c’era fiducia nelle gomme, poi abbiamo recuperato, ma di certo non possiamo essere soddisfatti del decimo posto. Gli aggiornamenti non portano grossi progressi, solo piccoli miglioramenti. Praticamente si tratta più o meno della stessa vettura rispetto all’inizio dell’anno“.

Sebastian Vettel, Scuderia Ferrari

Sentenza lapidaria, esecuzione sommaria. Già, perché queste parole hanno risvegliato qualche rancore, magari covato sotto le ceneri di un necessario perbenismo di facciata. Poiché quando finisce un amore è facile che le frasi vengano travisate, esasperate, ingigantite. E allora, in seguito a una prestazione mediocre, nell’enfasi del dopo gara, incalzati dalle domande, è umano cedere il fianco a qualche dichiarazione sopra le righe, a qualche precisazione che appare scontata. Il team principal della Ferrari si affretta a precisare che “le due vetture sono assolutamente identiche“, che spera in una bella prestazione di Vettel, poiché “la sua capacità di guida è indiscutibile“. Parole sacrosante ed estremamente condivisibili, almeno fino all’affondo: “ci si aspetta di più da una seconda guida“.

Non siamo qui per criticare chi ha il timone. Un’uscita infausta può capitare, specie in un’annata disastrosa, in cui gestire la pressione diviene ogni settimana più complicato. Tuttavia il concetto, in gran parte ineccepibile, poteva e doveva essere espresso in modo differente. Perché le parole purtroppo hanno un peso. E, quando si scagliano in questo modo, diventano più letali di qualsiasi macigno. Per il destinatario, certo, ma anche per chi le pronuncia. Soprattutto se, chi le scandisce, è il promotore dell’#EssereFerrari.

Mattia Binotto, Scuderia Ferrari

Perché #Essere Ferrari significa pure grinta, disappunto, rabbia. Da esternare senza mezze misure e tralasciando i toni pacati. #EssereFerrari è anche la collera iraconda di una sfuriata, di un gesto plateale, come ci insegna la memoria del grande Enzo. Ma non può essere mai sminuire, declassare, decretare. La fine della stima e delle ambizioni. Vettel sta deludendo? Probabilmente sì. Perché è un campione, uno che merita di essere ricordato tra i grandi, e non solo per una mera questione di titoli e di vittorie. Ma, proprio per questo, in virtù di questo, non potrà mai essere una “seconda guida“. Sarebbe un’insulto, un oltraggio, alla persona e anche alla Ferrari stessa che, a suo tempo, ha creduto in lui.

Anticipo le obiezioni, quelle che ricorderanno il normale modus operandi della Ferrari e di tanti team. Irvine, Barrichello, il secondo Massa e il secondo Raikkonen. Numeri due sulla carta, a volte per contratto, ma mai sulla bocca di un TP. Ottimi contendenti per le dichiarazioni di facciata, anche e soprattutto a tutela di coloro che rappresentavano i numeri uno designati, e che, in quanto tali, non avrebbero dovuto necessitare di aiuti di sorta. Ci sono verità nascoste e segreti di pulcinella, come le gerarchie all’interno dei team di Formula Uno. Rimarcarli, esternarli, buttarli in pasto ai media, non serve. Specialmente se la stabilità della squadra è già messa in discussione da futili chiacchiere e inopportune illazioni.

Michael Schumacher e Rubens Barrichello

Dunque sì. Sebastian potrebbe e dovrebbe fare di più. Per se stesso finalmente e non per una squadra che ormai non fa più parte del suo orizzonte. Le difficoltà incontrate dal tedesco sono obiettive e sotto gli occhi di tutti, purché non affetti dalla forte miopia del pregiudizio. Ma Vettel è un fuoriclasse e sicuramente ritroverà la sua dimensione. E, certo, Binotto ha usato un’espressione infelice, di quelle che aprono ferite difficili da rimarginare, dolori impossibili da sedare. Ma in fondo fa più male che bene ridurre tutto a una sterile schermaglia ad uso e consumo dei titoli. Perché #EssereFerrari è qualcosa che va oltre gli screzi, che supera gli artifizi. E’ il coraggio di chi ammette di sbagliare, ma anche la tenacia di chi non smette di perseverare. E’ la storia di chi ha inseguito un sogno e che ora deve lottare affinché divenga tale.


Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco

Foto: Ferrari – Formula Uno

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Veronica Vesco