Il carrozzone della Formula Uno guarda al futuro immediato. Tra sei giorni, infatti, le monoposto torneranno a mordere l’asfalto. Il teatro delle operazioni sarà il circuito di Imola che sorge sulle rive del Santerno. Una pista vecchia scuola, tutta saliscendi, stretta e ricca di un fascino storico segnato da momenti indelebili, anche drammatici, che hanno costruito l’epica di questo sport. Si arriva all’appuntamento italiano con un Lewis Hamilton in grande spolvero dopo una vittoria rocambolesca e che ancora fa discutere. Chi si presenta con una voglia di riscatto che supera i livelli di guardia è la Red Bull, gli sconfitti a sorpresa del GP del Bahrain dominato sin dalla prima sessione e sfuggito per una Mercedes praticamente perfetta nel momento in cui serviva esserlo. Un trionfo che Max Verstappen ha visto scivolare via dalle mani dopo il sorpasso chiusosi oltre il track limit di Curva 4, anch’essa entrata nella narrazione di questa disciplina.
I fatti sono arcinoti, inutile tornarci su. Se in prima battuta “l’ecosistema” Red Bull ha accettato il diktat con filosofia, non biasimando le decisioni dei commissari, negli ultimi giorni qualche prurito è venuto a Chiris Horner e soprattutto ad Helmut Marko, uno che ha fatto della dialettica senza filtri un ideale da seguire anche oltre la soglia dell’opportuno. L’ex pilota austriaco, in un afflato di vittimismo non proprio capibile, è addirittura arrivato a sostenere che la direzione gara, se fosse stato necessario, avrebbe comminato ben dieci secondi di penalità alla vettura 33 pur di non farla vincere. Una considerazione ardita, pericolosa, perché instilla il seme del dubbio ingiustificato in un quadro già ampiamente compromesso con tifosi che sovente vedono realtà parallele non supportate dei fatti. I protagonisti dovrebbero essere un attimo più accorti in certe uscite.
Cosa che ha fatto, ad onor del vero, Horner che, pur lamentandosi, non ha adombrato strane situazioni atte a limitare le forza di una scuderia che al momento pare possedere i galloni della favorita. Almeno finché la Mercedes, che ieri ha annunciato una ristrutturazione interna (leggi qua), non riuscirà, se riuscirà, a campire pienamente la bizzosa W12. “Quella dei limiti della pista è una questione molto delicata. Prima della gara è stato chiarito che in caso di vantaggio ottenuto in un sorpasso sarebbe stato necessario restituire la posizione. Cosa che Verstappen ha fatto immediatamente e con grande sportività. Durante il Gran Premio, in ogni caso, è mancata la chiarezza su cosa fosse permesso e cosa no in relazione al track limit. Ritengo che non ci sia niente di peggiore per gli appassionati di una mancanza di uniformità di giudizio. In tutti gli altri sport non ci sono dubbi, o si è fuori o si è dentro”. Parole tutto sommato posate – anche se incongruenti in un passaggio – che lo “Spice Boy” ha rilasciato a Talking Bulls, podcast ufficiale della Red Bull.
Perché incongruenti? Semplice, Horner chiarisce senza possibilità di altre interpretazioni che Michael Masi, prima dell’avvio delle ostilità, specifica la norma. Ribadisco il passaggio chiave: “Prima della gara è stato chiarito che in caso di vantaggio ottenuto in un sorpasso sarebbe stato necessario restituire la posizione”. Indicazione che lo stesso Hamilton dà quando, intorno al giro 34, si lamenta per l’improvviso cambio di interpretazione probabilmente arrivato per la pressione esercitata proprio del muretto Red Bull. Il passaggio è lapalissiano ed è desumibile dell’analisi degli on board del britannico consultabile a qui: link.
Horner ha ragione quando parla di difformità di giudizio, di applicazione ondivaga della norma prima specificata. E questo, in termini giuridici, è in effetti un problema molto grande. Ma il cambio interpretativo, a ben vedere, non investe la decisione che ha giustamente imposto a Max di cedere la posizione (cosa che in Red Bull hanno accettato al di là delle esternazioni di Marko), ma che condiziona proprio quello che Hamilton faceva durante la gara. Se in prima battuta concedi di usare la pista, è nell’ordine delle cose che il pilota lo faccia. Anomalo è, di punto in bianco, comunicare, smentendo se stessi, che la pratica è vietata.
Due sono le cose allora: o si stabilisce che i limiti della pista mai si possono valicare o si consente di farlo senza poi mutare orientamento in corso d’opera. Questo sì che fa male alla F1 o a qualsiasi altro sport. Poteremmo infatti citare centinaia di casi nel calcio, nei tuffi, nel basket e in qualsiasi altra disciplina nella quale interviene il giudizio di un uomo che, in quanto tale, è fallibile.
Qualcuno ha parlato di area grigia in relazione all’episodio chiave del GP del Bahrain. Ma di grigio non v’era nulla visto che l’indicazione di Masi era chiarissima. E lo stesso Horner lo ammette. Come evitare che episodi analoghi che scatenano polemiche spesso incontrollabili si verifichino ancora? La mente corre subito alla ghiaia che, posata nelle vie di fuga, rappresenta un deterrente invalicabile a certe pratiche. Ma la soluzione non è così semplice come potrebbe apparire. Questioni di sicurezza intervengono nel ragionamento. Da anni si valuta l’efficacia del brecciolino in alcuni tipi di incidente ed evidentemente si è verificato che, in linea generale, l’asfalto abbinato ad una via di fuga abbondante, siano gli espedienti più sicuri.
Ancora, c’è anche una motivazione afferente lo spettacolo: la ghiaia non perdona. Anche una piccola escursione potrebbe determinare l’insabbiamento della monoposto con manifeste conseguenze sullo spettacolo: meno auto in pista a duellare e molto più tempo tra safety car, pulizia del tracciato e ripristino della via di fuga. Tutti elementi da considerare per evitare di cadere in un facile riduzionismo che non aiuta a comprendere determinate dinamiche.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Red Bull, F1