Formula 1

F1, FIA e tecnologia: una storia schizofrenica?

Tesi: la FIA crea regolamenti spesso incoerenti, soprattutto se confrontati l’uno con l’altro. Ipotesi: Schizofrenia regolamentare? Limiti: le mie conoscenze tecniche della F1, che spaziano dalla seconda metà degli anni 80 del secolo scorso ad oggi. Svolgimento: Nei primi decenni della storia dell’automobilismo, vengono sperimentati motori aspirati e motori sovralimentati. Tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale il motore sovralimentato nelle corse di F1 farà di nuovo capolino solo alla fine degli anni settanta, per merito in primis di Renault e poi di Ferrari.

Le turbine, accoppiate ad un compressore recuperano parte dell’energia che andrebbe persa dagli scarichi caldi dei motori endotermici aumentando la portata di aria (con una pressione assai superiore a quella atmosferica) e di combustibile nei pistoni con un doppio vantaggio: un rendimento globale superiore rispetto ad un motore senza la turbina, perché usi una parte di “energia” che sennò andrebbe sprecata, una potenza specifica assai più elevata a parità di cilindrata e un consumo mediamente inferiore, rispetto ad un aspirato, a parità di potenza.

Il turbo di quegli anni assume una connotazione standard a metà anni 80: applicato ad un sei cilindri (da regolamento con una cilindrata di un litro e mezzo), viene sdoppiato: tre cilindri della stessa bancata alimentati da un turbo piccolo, gli altri tre alimentati da un altro identico turbo. Anche i problemi legati al famoso “turbo lag”, cioè il momento in cui acceleri e quello in cui le turbine entrano in funzione piano piano vengono risolti. Vuoi con l’elettronica, vuoi con le turbine a geometria variabile.

Si raggiungono potenze mostruose, in qualifica addirittura mille cavalli, con mezzi assai pericolosi. La FIA cerca di limitare la potenza con apposite valvole che dovrebbero ridurre la pressione di sovralimentazione (pop-off) ma che poi vengono in un modo o nell’altro bypassate. L’esercizio tecnico del 1988, targato Honda, è esemplare della tecnologia turbo al suo stato dell’arte. Motore potente, parsimonioso, affidabile. 15 gare vinte su 16 (naturalmente merito anche di uno straordinario telaio e di due campioni come Prost e Senna).

motore Ferrari tipo 036/2, unità V12 che equipaggiarono la F1-90 nel 1990

Nel 1989 tornano i motori aspirati. Cosa annunciata da anni e forse, chi lo sa, una vittoria politica di Enzo Ferrari (che tuttavia lui non potrà vedere, difatti muore a metà 88). Se c’è una cosa che sa fare meravigliosamente la scuderia Ferrari, sono i propulsori, in particolare aspirati. 3500 di cilindrata, numero di cilindri massimo 12, libero sviluppo. Ma, se ci pensate bene, è un chiaro ritornare indietro, dal punto di vista tecnologico, perché i motori aspirati riescono a malapena a raggiungere le potenze dei 1500 biturbo e sono assetati.

Inoltre non riusciranno mai a superare i limiti intrinseci ad un motore endotermico senza sovralimentazione, perché la termodinamica pone limiti invalicabili. E, per ironia della sorte, l’unico 12 cilindri a fregiarsi di un titolo in questa seconda era aspirata non è un Ferrari, ma un Honda (di nuovo). Eppure in FIA si fa questa scelta probabilmente con il chiaro compito di avere più costruttori, perché costruire un motore aspirato, per quanto sofisticato, costa comunque meno di un motore con tecnologia turbo ed è certamente meno complicato. Ci riescono? Si e no.

Via via che passano gli anni il regolamento si evolve: si riducono il numero di cilindri e si arriva a motori ad 8 cilindri, cilindrata ridotta a 2400 cm cubi, propulsori praticamente bloccati ad inizio stagione, con un numero contingentato (se non erro 8 a stagione) che almeno hanno il pregio di essere molto più piccoli e meno assetati dei loro predecessori, permettendo monoposto più piccole e agili. Ciò che si perde in potenza, si recupera in monoposto molto più leggere. Inoltre si fa un primo esperimento con un motore elettrico con batteria (il Kers), accoppiato al motore a scoppio. Poi, nel 2014, la svolta turbo-ibrida.


F1: la voglia di cambiare sempre e comunque non abbandona mai la FIA

La FIA, anticipando la svolta ecologista che poi sarebbe diventata imperante (e non sta al sottoscritto dire se sia un bene o un male), vara un’unità di potenza che prevede una sola turbina, una batteria, due motogeneratori, uno che recupera l’energia e l’altro che la rilascia/recupera accoppiandosi alla potenza del 6 cilindri di 1.6 liti. Unità propulsive e che hanno bisogno di un’elettronica sofisticatissima, con tanto di un quantitativo massimo di carburante decisamente ridotto rispetto al passato. Ci sono tutta una serie di parametri che devono essere rispettati e che anche qui hanno senso e non hanno senso…

Spettacolo poco o niente, primi anni con un dominio imbarazzante che poi continua seppure in maniera meno plateale, delle motorizzazioni Mercedes sino al 2020. Tanto che molti, a posteriori e senza mezzi termini, affermano che tale svolta (regolamento 2014) è stata un comodo assist per Mercedes, che tanto aveva investito nella F1, affinché vincesse. Cosa che puntualmente accade. Sia come sia, queste PU, talmente complicate che non potranno mai essere implementate sulle auto di tutti i giorni (il sottoscritto non le avrebbe mai volute, tanto per essere chiaro).

Diventano dei veri e propri gioielli tecnologici, anno dopo anno, arrivando quasi al rendimento mostruoso e che credo rimarrà ineguagliato, se si parla di motori endotermici, superiori al 50 per cento. Cioè dai 100, recuperi 55, ad esempio. I motori aspirati arrivavano al massimo al 30 per cento, quelli turbo alzano l’asticella di qualche punto percentuale, ma la PU ibrida raggiunge valori fantastici da questo punto di vista.

scatto posteriore della power unit italiana che equipaggiava le due Ferrari SF-23

Poi, quando la tecnologia è oramai matura, nel 2026 si decide di buttarla alle ortiche. PU molto più semplici con motori che devono garantire al massimo il 50 per cento dell’energia totale, e l’altro 50 per cento deve essere fornito dalla parte elettrica con batteria e un solo motogeneratore che recupera e rilascia energia sull’albero motore. E qui, anche in questo caso, si torna indietro. E si ripropone il problema di prima. Se si torna indietro lo si fa per avere nuovi costruttori. O almeno cose dicono in FIA. Ad ora, mentre stiamo scrivendo, c’è un solo nuovo costruttore: Audi.

Ha senso buttare via una tecnologia ormai matura per una meno efficiente? E come impatterà ciò nella guida e nel rendimento di queste nuove ipotetiche monoposto? Perché è facile arguire che, a seconda dei circuiti, se un solo motogeneratore non avrà il tempo di ricaricare adeguatamente la batteria, si avranno a disposizione molti meno cavalli rispetto a quelli disponibili in teoria… e allora si sta pensando all’aerodinamica attiva.

Insomma, il gioco vale davvero la candela? E qui torniamo al quesito iniziale. Cioè una federazione che sembra quantomeno schizofrenica nelle sue scelte che ormai sono eminentemente politiche. E va anche bene, perché un ente con delle scelte fa politica. Ma che tipo di politica è quella che butta via una cosa che funziona per una che funziona meno bene? Conclusione: Ai posteri l’ardua sentenza…


Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi

Immagini: Scuderia Ferrari F1

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Mariano Froldi