In Formula Uno c’è un’anomala percezione che riguarda l’Aston Martin. L’AMR21, sin dal giorno della sua presentazione, è stata ritenuta una sorta di copia in carta carbone della Mercedes. Di quale modello, di preciso, non è dato sapere. Secondo qualcuno sarebbe una monoposto sovrapponibile alla W11 del 2020. Ovviamente rivista ed aggiornata in base alle regole in corso di validità. Per qualcun altro, con i distinguo del caso (che spesso sono cromatici), sarebbe una W12 in tutto e per tutto. Per altri ancora – e in questo caso si tratta di persone assai ardimentose di giudizio – la creatura di Andrew Green anticipava, in sede di presentazione ai media, qualche concetto che avremmo visto sulla cugina anglo-tedesca in occasione del primo GP stagionale. Il web è pieno di queste teorie che, alla riprova del giudice più impietoso, ossia il cronometro, non hanno trovato un riscontro tangibile.
La verità è una ed è incontrovertibile: dopo sei GP la monoposto uscita dalla matita – o per meglio dire dal computer – di James Allison ha dato un distacco medio di 0,944 secondi al modello anglo-canadese. Una paga siderale in uno sport nel quale si “gioca” sui centesimi di secondo. Ma se scendiamo a fondo del confronto osserviamo un altro dato molto interessante: la AMR21 è andata meglio (leggasi: ha ridotto il distacco medio rispetto alla Freccia Nera) laddove c’era da portare rapidamente in temperatura le coperture Pirelli.
Ma non solo. Sia a Monaco che a Baku, Sebastian Vettel e Lance Stroll hanno potuto contare su una vettura assai gentile con le gomme. Una macchina che in parole povera consuma poco le coperture. Cosa che ha consentito ai due driver di allungare decisamente i primi stint. Comportamento diametralmente opposto ha avuto, invece, la W12 che è stata tra le prime a fermarsi perdendo diverse posizioni rispetto a quelle conquistate al sabato. Hamilton, a Montecarlo, si è visto passare da Vettel e da Perez scattati alle sue spalle. In Azerbaijan ha perso il duello col messicano che ha goduto dell’overcut sulla “44”.
Dopo quattro gare di apprendistato e di sgrossamento, è soprattutto il quattro volte campione del mondo ad essersi giovato dei progressi della monoposto verde. La cui virtù principale, sin da quando si chiamava Force India, è dunque nella gestione degli pneumatici. E’ lo stesso Andy Green a far capire perché le sue creature sono così docili sulle gomme. In un’intervista del 2004 raccontava particolari molto interessanti: “Ci sono quattro persone che lavorano alla modellazione degli pneumatici e al simulatore. Abbiamo un vero e proprio CFD per la modellazione delle gomme. Il numero dei tecnici impiegati a questa sfera è esiguo, ma il loro lavoro ha un enorme impatto sullo sviluppo della macchina. Si tratta di specialisti con una grande esperienza in materia di pneumatici. Prendiamo molto sul serio i loro consigli e le loro indicazioni“.
In sette anni questa equipe si è numericamente rafforzata ed è cresciuta in competenze. Anche grazie alla presenza di ex membri dello staff Bridgestone che curava la sezione F1. In questa fase il know-how acquisito dal team di proprietà di Lawrence Stroll sta facendo la differenza soprattutto durante la gara. Laddove il management delle gomme diventa di vitale importanza.
E’ verosimile che gli ingegneri di stanza a Silverstone abbiano sviluppato un assetto che riesce ad produrre una temperatura delle gomme più equilibrata tra l’avantreno e il retrotreno. Quello che ad oggi sembra il vero tallone d’Achille della Mercedes W12. Ancora, l’aver centrato questa finestra di utilizzo, potrebbe spiegare perché l’AMR21 è più lontana in qualifica mentre riesce a recuperare terreno la domenica pomeriggio.
Questa è un’ipotesi, la differenza potrebbe semplicemente risiedere nella capacità dei piloti di gestire il materiale fornito dal gommista italo-sinico. Ma la storia recente ci insegna che Hamilton è particolarmente abile nello sfruttare le gomme per lunghi stint. Quindi la divergenza comportamentale tra le due auto potrebbe denunciare una dissonanza concettuale tra progetti che forse troppo frettolosamente sono stati ritenuti l’uno la copia dell’altro.
Auto con caratteristiche aerodinamiche completamente sovrapponibili dovrebbero generare comportamenti abbastanza simili, al di là dei piloti che le conducono. La realtà sembra dire altro. Mercedes resta, tra le due, la monoposto più veloce. Ma ha la tendenza a lavorare peggio con le Pirelli 2021. Allora, non si trattava di modelli uguali? Dove sono finite le polemiche, le ore di diretta e le pagine abbondantemente riempite con riferimenti smodati e ingiustificati ad un progetto, quello Aston Martin, palesemente copiato da quello Mercedes? Forse, in prima battuta, si è abusato con considerazioni estetiche senza tangibili riscontri. E la tecnica del motorsport non può piegarsi ad analisi così superficiali.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes, Aston Martin