Hamilton ce l’ha fatta, ha tagliato il traguardo delle 100 vittorie in F1. La scorsa stagione, quando ha eguagliato il numero di successi dell’immenso Michael Schumacher, questa cifra strabiliante pareva quasi una formalità, una logica conseguenza. Un obiettivo a portata di mano, da conseguire senza grandi sforzi, grazie alla micidiale simbiosi tra talento e vettura. Lewis e Mercedes (leggi qui la regolarità delle W12) proiettati nell’Olimpo, destinati a riscrivere la storia, in alto come nessuno mai prima.
Invece il destino, lo sceneggiatore più abile che esista, ha pensato di ravvivare il copione, rendendolo più articolato, aggiungendo personaggi e difficoltà, contribuendo a creare la storia di un mondiale incerto e bellissimo. In altre parole, come in tutte le narrazioni classiche, è entrato in scena un antagonista degno di questo nome. Giovane e affamato, implacabile e feroce.
Max Verstappen era lo sfidante atteso, il ragazzo prodigio che si è confermato nel corso degli anni, in qualche modo l’erede designato di Hamilton. Logico che prima o poi si trovassero a tu per tu, a ingaggiare una sfida che pare d’altri tempi. Eppure Lewis non molla, non intende cedere lo scettro e, proprio quando la situazione si fa più difficile, conferma le sue grandi doti di pilota, come solo i più grandi riescono a fare.
Mi è capitato di ribadire il concetto più volte nel corso di questa stagione: siamo davanti al miglior Hamilton mai visto. Qualcuno obietterà che, nel corso del mondiale 2021, il sette volte campione è incappato in qualche svista di troppo. Ai suddetti, mi permetto sommessamente di far notare quanto sia sottile il limite tra eroismo ed errore, specie quando la posta in gioco è altissima, l’equilibrio tra le forze è precario e la tensione è palpabile.
Eppure Lewis è sempre riuscito a porre rimedio nei confronti di qualsiasi ingenuità commessa. E ciò è possibile esclusivamente perché ci troviamo al cospetto di un’eccellenza. Prendiamo appunto il Gran Premio di Russia e la sudatissima centesima affermazione. Nulla è stato lineare, come se sul britannico incombesse una sorta di magia nera, in grado di rimandare all’infinito l’appuntamento con la gloria.
Tuttavia, nonostante un incidente nel corso delle qualifiche e un’opaca seconda fila al via, indipendentemente da una partenza conservativa e fin troppo cauta che lo ha portato a perdere ulteriori posizioni, Hamilton è riuscito a risorgere. Lo ha fatto con intelligenza e perseveranza, senza mai farsi scoraggiare. Neppure quando la sua gara, nel corso del primo stint, pareva irrimediabilmente compromessa.
Daniel Ricciardo, con la sua McLaren, sembrava un muro invalicabile, e i tentativi di sorprenderlo, vani, si sono spenti abbastanza rapidamente. La ragione ha avuto la meglio sull’istinto e questa la dice lunga sulla visione di gara di Hamilton, sempre egregiamente sostenuto dalla sua squadra. Dev’essere difficile, per un pilota come Sir Lewis, accettare la resa, condannarsi all’apatia.
Tuttavia questo è necessario, poiché, in questa fase del campionato, non bisogna pensare alla gara, ma guardare oltre. Oltre all’enfasi, alla foga e all’orgoglio, ascoltando quel saggio grillo parlante che invita a una quieta attesa, che vieta di esagerare. Hamilton dunque non vuole sbagliare ancora, non dopo la figuraccia rimediata in qualifica, non mentre ha un’occasione d’oro per allungare su Verstappen, attardato dalle penalità.
Max è costretto a battagliare, a prendersi dei rischi. Lewis può permettersi di aspettare, di essere guardingo, di sferrare l’attacco attivando la modalità che lo contraddistingue. Dopo la sosta è subito Hammer Time. Il distacco si erode e il prodigio di Stevenage ricomincia a volare .
La costanza e la perizia vengono ulteriormente premiate dall’arrivo della pioggia, la variabile attesa e impazzita. Ancora una volta si tratta di non farsi prendere dall’impeto, di raffreddare i bollenti spiriti, compiendo la scelta corretta. Lewis sente che ce la può fare anche con le slick, perché lui è un mago della pioggia. Ma, alle volte, tra incantesimo e fattura la differenza è sottile, dunque occorre affidarsi alla solidità del muretto, alla responsabilità di chi decide ponderando ogni scelta.
Così Hamilton rientra di malavoglia per calzare le intermedie, la pozione salvifica che lo porterà al successo. Nessuna cavalcata trionfale, nessuna gara dominata da principio, nella fastosa solitudine che investe i numeri uno. No, quest’ultimo tassello, Hamilton, ha dovuto sudarselo fino alla fine, fronteggiando eventi avversi e imprevisti. Una vittoria studiata e sofferta, ottenuta grazie alla perseveranza e alla fiducia nei propri mezzi. Una corsa di quelle che fanno la storia e che contribuiscono, perentoriamente e senza l’ombra di giudizi opinabili, a dare la vera misura del pilota Hamilton. Un fenomeno non solo capace di stravincere, ma abilissimo a crearsi le condizioni ottimali per costruire un trionfo.
E qui arriviamo alla naturale conclusione. Al confronto tra i duellanti. Situazione che va necessariamente attenzionata. Sotto la lente di ingrandimento lui, il plurititolato campione del mondo. Centinaia di Gp alle spalle, una carriera costellata di successi e un atteggiamento caratteriale maturo. Per contro lo sfidante. Un talento strepitoso. Esplosivo. Oramai maturo e pronto a cogliere i frutti del proprio lavoro. Le forze si equivalgono a quanto pare.
Tuttavia, se l’equilibrio relativo alla competitività delle vetture sarà totale, Hamilton sembra avere qualche chance in più di vittoria. L’intelligenza tattica di Lewis, infatti, potrebbe avere la meglio sulla forza esplosiva di Max, caratteristica che in determinate circostanze sa essere parecchio controproduttiva. Il britannico sa come battere l’olandese, l’impressione è questa…
F1-Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Mercedes AMG F1 Team