Le vittorie, specie in F1, non arrivano mai per caso. Per trasformarsi in punto di riferimento di una categoria iper competitiva servono abnegazione, tenacia, competenza, risorse finanziarie e modelli organizzativi capaci di mettere ogni singolo uomo nelle condizione di operare al meglio delle sue possibilità. Red Bull, grazie anche ai paradigmi operativi, è riuscita a riprendere il discorso dove era stato lasciato all’alba dell’era turbo-ibrida. Ferrari, quindi, avrebbe un modello bello e fatto da seguire.
Uno dei segreti del team anglo-austriaco è la continuità che si realizza in diversi ambiti, da quello amministrativo a quello tecnico. Un modo di procedere sublimato anche dalla capacità di mettere sotto contratto un pilota straordinario come Max Verstappen che ha esteso il suo contratto fino al 2028. Cosa, questa, che lo renderà uno dei conducenti più fedeli di sempre alla singola franchigia.
Ma il vero perno intorno al quale è stata eretta tutta l’intelaiatura della Red Bull è lui: Adrian Newey. Una star nel mondo dell’ingegneria applicata al motorsport che però non scade in atteggiamenti dispotici né in una gestione accentratrice nella quale conta solo ed esclusivamente il suo giudizio. No, il vulcanico professionista di Stratford-Upon-Avon è uno a cui piace il confronto e la stimolazione delle sinapsi attraverso l’interlocuzione dalla quale assorbire concetti per postulare idee spesso vincenti e per la concorrenza annichilenti.
Red Bull: organizzazione orizzontale come chiave del successo
La summa del Newey-pensiero è stata chiarita dallo stesso ingegnere a The Talking Bull, il podcast della scuderia di Milton Keynes: “Cerchiamo di incentivare una struttura orizzontale. In qualsiasi organizzazione serve un organico con una sorta di struttura gerarchica piramidale. All’interno del reparto ingegneristico, però, cerchiamo di avere un’organizzazione piatta, nella quale le persone debbano comunicare il più possibile le une con le altre”.
Come renderlo possibile? “Proviamo a ridurre il numero di riunioni. La cultura dei meeting può essere un enorme spreco di tempo. Allo stesso tempo, però, incoraggiamo le persone a non parlare solamente attraverso le email. Un bar o un luogo di ristoro può aiutare in questo”. Non a caso, seguendo questa scia concettuale, Mercedes ha messo al centro della ristrutturazione della sede di Brackley proprio i luoghi di aggregazione. Che l’idea sia stata suggerita da Jayne Poole che per anni ha operato per la scuderia di Milton Keynes?
L’obiettivo del team è quello di provare a far sì che i dipendenti, tutti, si stimolino il più possibile reciprocamente. Newey è fortemente convinto che i progressi della monoposto dipendano dalla continua produzione di idee che non necessariamente si trasformano in pacchetti applicativi. Red Bull, quindi, impone una cultura rigida nella sua elasticità: ogni figura, qualsiasi sia il suo compito, deve essere a proprio agio nel proporre le suggerire idee in un contesto nel quale i colleghi siano predisposti ad ascoltarle.
Ferrari e il modello orizzontale: un’occasione sprecata?
L’approccio ha pagato negli anni scorsi e sta continuando a farlo. Un metodo che non solo Red Bull ha adoperato visto che per un periodo, sotto la guida di Sergio Marchionne, anche la Ferrari aveva impostato l’azienda sull’orizzontalità. Il dirigente teatino, quando fu chiamato a ristrutturare la derelitta FIAT per trasformarla in FCA, si espresse in maniera inequivocabile sulle strutture verticistiche:
“Il vero problema dei manager è che più piramidi crei e peggio gestisci l’azienda. Se avessi tre vice sotto di me starei tutto il giorno a rompergli le scatole chiedendogli cosa stanno facendo. Più stretto è il controllo e peggio funziona l’azienda. È per questo che io ho 70 o 80 persone con le quali lavoro direttamente e così rompo loro le scatole in maniera più distribuita”.
Questo modo di impostare il lavoro concede soprattutto ai manager molta libertà e spazio d’azione. Il primo effetto di questa mancanza di lacci, secondo Marchionne, è l’aumento della produttività. Impostare un’azienda su una linea di comando orizzontale o con una bassa gerarchia non vuol dire arrivare all’assenza dei capi né tanto meno all’anarchia. Anzi, la massima inclusione, come dimostrano i risultati che il dirigente italo-canadese seppe raggiungere, è la base del successo.
Quanto descritto, con tutti i distinguo del caso, è applicato in Red Bull e lo fu in Ferrari prima che Marchionne dovesse mollare per via delle condizioni fisiche sempre meno compatibili col lavoro. L’opera del dirigente non portò titoli, ma di certo permise alla Ferrari di crescere notevolmente. Quella parabola si interruppe con l’arrivo di Mattia Binotto che, dopo l’avvio disastroso della stagione 2020, decise di accantonare definitivamente un quadro gestionale che sin dal primo giorno aveva dimostrato di non apprezzare in maniera particolare.
E’ chiaro che adesso non bisogna buttare la croce addossa all’ingegnere di Losanna che nella sua drastica inversione fu supportato dalla proprietà e dall’amministratore delegato dell’epoca. Ma, visto come sono andate le cose, era il caso di insistere in quella struttura, magari trovando gli uomini adatti ad esaltarla invece di stravolgere creando un ibrido che alla riprova della storia ha fallito.
Questa vicenda dovrebbe far capire quanto sia arduo il compito che spetta a Frédéric Vasseur che non solo deve ridare verve tecnica alla scuderia, ma deve anche riscrivere i confini di un modello gestionale che si adegui alle risorse ora presenti a Maranello. Ecco perché serve del tempo e non bisogna essere troppo critici di una squadra in piena fase di passaggio.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari