Il taxi della vita
Immaginate la scena nel freddo dicembre londinese: un ragazzo guida la sua macchina tutto sicuro di sé (può permetterselo… è un pilota professionista) in quel di Londra quando, all’improvviso, l’inevitabile: un incidente. Succede in pista e naturalmente anche per le strade, figuriamoci, solo che quel banale incidente verrà ricordato per sempre.
Infatti tra i due conducenti ne nasce una lite e quando la rabbia monta non si ragiona: il giovane pilota (sicuro certo… e anche un po’ ingenuo) estrae una bomboletta spray acquistata in Germania, dove è legale usarla per difendersi, a differenza dell’Inghilterra ove è ritenuta un’arma. La usa, appunto, per difendersi (cosi fu dichiarato) contro il taxista. Quella difesa, in sede penale, venne ritenuta un’aggressione, con inevitabile incriminazione del giovane pilota.
Saltiamo di qualche mese e arriviamo alla fine di un torrido agosto. Quel giovane pilota professionista si chiama Bertrand Gachot, e corre per i colori di Eddie Jordan. Con quell’incidente, “colpendo” il taxi della sua vita, fece due cose: si rovinò la carriera e diede l’opportunità a Michael Schumacher di farsi conoscere al mondo. I fatti di dicembre appunto, si protrassero fino ad agosto, momento in cui Bertrand venne forzatamente allontanato dalla legge, per rispondere di quello che aveva combinato. Nel frattempo Eddie era rimasto con il solo Andrea De Cesaris ed aveva bisogno di un secondo pilota.
Il taxi della vita nel frattempo era partito e non si sarebbe fermato più: Willy Weber, manager di un certo Michael Schumacher, grazie ai soldi di AMG (squadra con la quale il tedesco correva nei prototipi), allo zampino di Ecclestone e alla bugia dello stesso manager (disse ad Eddie che Michael già la conosceva la pista perché già ci aveva girato), riuscì a far ingaggiare il giovane e promettente talento per salvare capra e cavoli. Nessuno aveva dato peso più di tanto a quello sconosciuto, persino lo stesso team principal nutriva i suoi dubbi (Flavio Briatore della Benetton, dopo averlo visto, no!). Poi arrivò il giorno delle qualifiche e, come si suol dire, il resto è storia.
Michael Schumacher, su una pista a lui sconosciuta, tecnica e veloce (non a caso è chiamata l’università della F1) e soprattutto con una Jordan, nemmeno paragonabile alla difficile Ferrari di quell’epoca (purtroppo il 1991, proprio in quel periodo fu l’inizio del declino) si qualificò settimo. I primi sei? In ordine (dal sesto al primo): Piquet, Alesi, Berger, Mansell, Prost e Senna!
La gara venne vinta da Ayrton in parata col suo compagno Berger (beneficiando ad onor del vero anche di ritiri e retrocessioni) mentre entrambe le Ferrari si ritirarono. Schumacher? Il tedesco si ritirò dopo poche centinaia di metri a causa della frizione. Nessun rammarico, nessuna disdetta… ormai il taxi era stato preso e si sarebbe fermato solamente a destinazione sette titoli mondiali. Quei sette titoli che la F1 e Lewis vogliono assolutamente raggiungere e, possibilmente, superare. A noi non resta che prenderne atto sapendo che se questo accadrà (non me ne vogliano i tifosi di Lewis) di certo i titoli conquistati da Michael, in quanto epopea storica, saranno irripetibili.
Questa è Spa Francorchamps, una delle piste più antiche del mondiale che, nonostante le modifiche apportate negli anni, ha conservato intatto il suo fascino, la sua difficoltà e la sua pericolosità.
Buon GP a tutti.
Autore: Vito Quaranta – @vito1976
Foto: Formula Uno