mercoledì, Maggio 15, 2024

Italia, F1 a rischio: infrastrutture carenti

Quante volte, analizzando l’espansione globale della F1, ci siamo chiesti del perché si scelgano determinati teatri e come mai l’Europa viva giorni di crisi che determinano una lenta emorragia di circuiti storici. La risposta scontata è quella che riporta ai soldi, alla capacità che altri soggetti hanno di sborsare moneta. Senza girarci troppo intorno, è così che vanno le cose nella più normale soddisfazione della basilare legge di mercato in cui si incontrano domanda ed offerta.

Liberty Media Corporate, da un lato, che ha tra le mani un bene prezioso ed esclusivo, la Formula Uno, gli organizzatori dei Gran Premi, dall’altro, che chiedono sempre più insistentemente di vedere i bolidi della massima categoria sul proprio suolo. Ecco che il prezzo per avere l’oggetto dei sogni schizza alle stelle. Da qui l’affanno europeo. Anzi, le difficoltà in cui stanno incappando tutti i tracciati storici.


F1: uno sport per ricchi

La Formula Uno non ha nulla di economico. A partire dal processo di creazione e produzione di una vettura per finire al costo dei biglietti di accesso alle gare per i quali, sovente, serve sacrificare un rene. Un giro di danaro che non si ferma mai e che tende al costante aumento. Gli organizzatori si sfidano a suon di pacchi di banconote foraggiando un meccanismo che, pubblicamente, parla di spending review e budget cap, ma sotto sotto si muove solo grazie al turbinio di cifre astronomiche.

F1
Lewis Hamilton (Mercedes AMG) in un evento di lancio del Gp di Las Vegas

I dati riportati di seguito sono emblematici e spiegano a chiare cifre, è il caso di dirlo, perché l’asse geostrategico della Formula 1 si stia spostando da quello che era il baricentro storico. Il Bahrain, per avere il gran premio sul tracciato di Sakhir, sborsa 52 milioni di dollari l’anno. Fino al 2036. L’Arabia Saudita ne spende 55, gli organizzatori del Gp d’Azerbaijan ben 57 a stagione. Il Qatar 55, Abu Dhabi 42. Numeri che vanno moltiplicati spesso per dieci considerando accordi di lunghissimo corso.

Una media da capogiro che quasi doppia quella dei gran premi europei o storici (AustraliaGiapponeCanadaBrasile per citarne quattro) che si attesta sui 25 milioni con l’unica eccezione del Gran Premio d’Ungheria i cui promotori spendono ben 40 milioni di dollari per avere le vetture a ruote scoperte sul budello dell’Hungaroring.

Investimenti ingenti dai quali i gruppi organizzatori devono rientrare e, chiaramente, guadagnarci. Ed è in questa dinamica che si sta realizzando lo snaturamento del weekend tradizionale che tende a mettere sempre meno al centro l’evento gara a scapito di tutta una serie di attività correlate che Liberty Media Corporate impone e definisce come prerogativa per ottenere gli agognati GP.


F1. Il cinismo finanziario di Liberty Media Corporate

Chi si adegua è dentro, chi non lo fa è fuori. Emblematico è il caso del circuito del Paul Ricard, il cui presidente, nei giorni scorsi, è diventato Jean Alesi, che è sfilato via dal calendario perché non ha potuto – o forse voluto – ottemperare ai dettami imposti dalla proprietà della Formula 1. Né è riuscito soddisfare le ingenti richieste finanziarie che arrivavano dagli Stati Uniti.

Destino che è toccato ad altre gare storiche come quelle tedesche e che stava per colpire Montecarlo (quella che sborsa meno, “dal basso” dei sui 20 milioni più il 10% delle tasse turistiche, ndr) e Spa Francorchamps che resta fortemente in bilico per i prossimi anni.

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la splendida cornice di Spa-Francorchamps

Liberty Media non guarda in faccia a nessuno. Monaco, per rimanere “in pista”, ha dovuto rinunciare ai diritto di tracciato esclusivo concessigli da Bernie Ecclestone. Ha dovuto anche accettare la compattazione del weekend di gara abolendo le sessioni del giovedì e la “pausa glamour” del venerdì. “O si fa come diciamo noi o salutate il Circus“. Più o meno è questo ciò che Stefano Domenicali ha riferito ai promoter rivieraschi.

Stessa durezza manifestata nei confronti dell’università della Formula 1, Spa Francorchamps. Il gioiello belga ha dovuto affrontare profondi lavori di ristrutturazione ad alcuni punti della pista (Eau Rouge -Raidillon su tutti) e ha dovuto ottimizzare tutti quegli spazi esterni per permettere lo svolgimento di quelle attività correlate che Libety Media pretende.

Per ora i promoter hanno strappato un anno di contratto a 22 milioni di dollari ma il futuro resta avvolto in un’impenetrabile nebulosa. Quella 2023 potrebbe davvero essere l’ultima edizione di un evento iconico che fa impazzire piloti e tifosi. Perderlo sarebbe un peccato mortale.


F1. Imola e Monza a rischio?

E viene da sé che in questo scenario nessuno si può considerare, salvo nemmeno quei gran premi italiani che appartengono alla storia e alla cultura sia della Formula Uno sia di chi la massima categoria dell’automobilismo, la rappresenta, ossia Stefano Domenicali. Il dirigente imolese, in una recente intervista a La Stampa di Torino, ha ammesso che i promoter italiani devono fare di più. 

La storia va sempre ricordata e valorizzata, però non deve essere la scusa per non investire. Da Monza e Imola, i cui contratti scadono tra qualche anno, mi aspetto un cambio di marcia a livello di investimenti. Da italiano vorrei vedere il mio Paese reagire a una richiesta di crescita che viene da tutti“.

Parole che suonano abbastanza sinistre e di cui bisogna comprenderne il concetto: l’Italia deve sforzarsi di più. Sicuramente, nella nuova contrattazione, dato che la capacità media di spesa degli organizzatori degli altri Paesi è molto elevata, Liberty Media Corporate pretenderà emolumenti più “pesanti” da parte delle due piste cisalpine. E questo è un problema. Soprattutto, per quanto riguarda Monza, ricorderete, fu molto difficile raggranellare la cifra giusta per convincere i vertici della Formula Uno a strappare un nuovo accordo.

Ma il discorso di Domenicali verte non solo sulla materia fiscale, ma anche sulle infrastrutture. Il Gran Premio d’Italia di settembre scorso è stato un manifesto alla disorganizzazione con file chilometriche di tifosi che sono riusciti ad entrare, in alcune circostanze, anche a sessioni cominciate. Ad Imola le cose non vanno meglio, soprattutto quando interviene la pioggia.

F1
Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing), Charles Leclerc (Scuderia Ferrari F1) e George Russell (Mercedes AMG F1) festeggiano davanti alla marea rossa in occasione del Gp d’Italia 2022

Quello che la proprietà americana chiede è un innalzamento dell’asticella della qualità infrastrutturale. E, soprattutto, la possibilità di creare tutti quegli eventi correlati al Gran Premio che stanno diventando essi stessi i momenti centrali della vita del weekend della Formula Uno. Monza sorge in un parco tutelato e forse questo è un problema per la visione di Liberty Media.

Così come Imola, che nasce nel verde e praticamente al centro di un paese e sulle rive di un fiume. In Italia sappiamo quanto siano stringenti certi vincoli ambientali, paesaggistici e storici, ma questi debbono poter coesistere con le necessità che ha la Formula Uno.

Ancora una volta è Spa Francorchamps la stella polare da seguire. L’impianto belga, ancora oggi, è in pieno corso di ristrutturazione con la creazione di nuove tribune e con l’implementazione di nuove attrazioni e di inedite iniziative che faranno sì, molto probabilmente, che Liberty Media possa siglare un nuovo e più lungo contratto con la pista più amata dai piloti.

Imola e Monza non possono restare ferme a crogiolarsi nel passato glorioso. Hanno bisogno di fare uno scatto in avanti deciso in nome della storia, ma non facendosi fagocitare da essa.

Alle porte del colosso americano dell’intrattenimento spingono molte nazioni e diverse realtà imprenditoriali. Un paio di giorni fa, Antonio Perez, padre di Sergio, ha fatto sapere che il Messico è pronto alla possibilità di avere un secondo GP. Il Sudafrica preme ancora, Portimao non ha perso le speranze di rientrare. la Cina ha diritto di farlo quando supererà l’emergenza Covid. Altri Paesi, è quindi dimostrato, vogliono la Formula Uno. Imola e Monza devono stare molto attente perché il rischio di vedersi sfuggire tra le mani il giocattolo è concreto.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1

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