lunedì, Aprile 29, 2024

F1, evoluzione della pista: quel “perfetto sconosciuto” che sposta gli equilibri tecnici

Le qualifiche di un Gran Premio di F1 sono spesso la parte più emozionante di un weekend di gara. Parliamo del momento nel quale i piloti devono spremono al massimo le proprie vetture e il talento dei singoli, in molte occasioni, può dar vita a risultati sorprendenti e talvolta assai inaspettati. Basti pensare, ad esempio, alla recente sessione vissuta qualche settimana fa in Messico, dove ormai priva di qualsiasi speranza, la Ferrari ha centrato una prima fila tutta rossa.

Per sottolineare quanto fosse inatteso il risultato ottenuto dallo storico team di Maranello, ricordiamo come Leclerc e Sainz, appena scesi dalle proprie SF-23, si sono guardati negli occhi con uno sguardo misto tra stupore ed euforia, sottolineando come nell’arco del tempo trascorso tra Q2 e Q3, il miglioramento prestazionale in termini cronometrici abbia superato addirittura gli otto decimi. Elemento che di fatto ha piazzato le due rosse davanti a tutti.

F1 Ferrari
Charles Leclerc (Scuderia Ferrari) esulta per la pole ottenuta in Messico

Durante una sessione classificatoria non si tratta solamente di montare una gomma Soft, caricare poca benzina e andare a tutta birra. Al contrario si richiede una lettura approfondita delle dinamiche che la caratterizzano, onde evitare spiacevoli eliminazioni anticipate. Uno di questi fattori, spesso trascurati ma quanto mai fondamentali, riguarda l’evoluzione di pista. In questo articolo approfondiremo l’argomento, cercando capire come tale aspetto può influenzare la performance delle varie auto di F1.


F1: l’aspetto tecnico da considerare che spesso produce scenari opposti

Innanzitutto con “evoluzione di pista” si intende il miglioramento dei livelli di aderenza dell’asfalto e quindi, di conseguenza, dei tempi sul giro. Uno degli aspetti da considerare in tal senso concerne le variazioni di temperatura del piano di riferimento. E’ importante specificare che il focus dello scritto verterà solamente sull’evoluzione del tracciato dove le condizioni meteo restano invariate e costanti. Saranno quindi escluse dalle future considerazioni le transizioni tra bagnato e asciutto e viceversa, dato che il miglioramento o peggioramento delle condizioni, in questo caso, verrebbe fortemente “avvelenato” dalla quantità di acqua depositata sull’asfalto.

Per spiegare a cosa sia dovuta l’evoluzione di pista e come possa influenzare i valori in campo, può essere utile considerare due esempi, riferiti a situazioni quasi opposte, che vanno a spaziare su tutte le possibili casistiche. Partiamo con l’analisi della qualifica in Messico. Disputata nel circuito Hermanos Rodríguez con condizioni meteo stabili, la sessione ha visto un progressivo miglioramento delle prestazioni come lecito aspettarsi tra Q1 e Q3. Andando più nello specifico, tra il primo e secondo round di qualifica, l’abbassamento medio dei tempi sul giro è stato nell’ordine di quattro decimi secondo.

F1
Carlos Sainz (Scuderia Ferrari) a bordo della SF-23 – Q2 – Gp Messico 2023

Tra Q2 e Q3, invece, circa di mezzo secondo con picchi di otto decimi ottenuti proprio delle due Ferrari SF-23. Risulta pertanto interessante notare che a balzi maggiori in termini di tempo, corrispondono variazioni più significative di temperatura del tracciato: Q1 e Q2 si sono svolte con una temperatura della pista pressoché costante, dove la discrepanza termica era di soli -0.8°C. Molto maggiore, invece, il delta tra la seconda e la terza manche di qualifica, tanto che il circuito con il passare del tempo si è raffreddato di circa 3.5°C.

Curiosamente, con un trend simile di temperature, in Brasile è successo l’esatto opposto: come nella tappa messicana anche a Interlagos l’asfalto è divenuto progressivamente più fresco nell’arco della qualifica. La differenza tra Q1 e Q2 è stata di circa -0.6°C, con miglioramenti sul tempo valutabili in circa 3 decimi (da tenere a mente che Interlagos essendo più corto del circuito di Città del Messico presenta gap ridotti tra le vetture). Mentre tra Q2 e Q3 il delta di temperature si è aggirato sui -3.7°C.

Tuttavia i tempi sul giro hanno subito un decadimento prestazionale ingente, in alcuni casi maggiore al secondo. Proprio per questo quasi la totalità dei piloti si è lamentata via radio della scarsa aderenza, ritendendo il circuito brasiliano completamente diverso da come lo si era trovato appena 15 minuti prima. Ma com’è possibile che sebbene le variabili in merito alle temperature siamo molto simili, in un caso (Messico) i tempi siano nettamente migliorato e nell’altro (Brasile) siano addirittura peggiorati?

Innanzi tutti un fatto: una pista più “fredda” tende a essere più rapida di una “calda”. Questo perché maggiore è la temperatura più è elevato è il rischio di mandare in overheating le coperture, specialmente per quanto riguarda le mescole più morbide. Un surriscaldamento eccessivo, di fatti, può causare problemi di scivolamento e instabilità nel comportamento della vettura, con ovvie perdite in termini cronometrici in curva e quindi nel computo totale della tornata. Si parla di tendenza perchè ogni gomma ha la propria “finestra di funzionamento”. Un range entro il quale lavora al meglio. Ecco perchè i concetti di “caldo” e “freddo” possono essere relativi.

F1
Carlos Sainz (Scuderia Ferrari) – Gp Brasile 2023

Pertanto è più che plausibile pensare come a Interlagos le coperture Soft, in Q3, siano finite fuori temperatura determinando uno scarso grip che ha causato l’innalzamento dei tempi. Se a questo aggiungiamo la recente propensione a rallentare in uscita dalla pit lane per prendere spazio per avere una track position ottimale, ecco che i problemi di warm up degli pneumatici vengono inevitabilmente esacerbati, benchè questa possa essere definita “una storia a parte” che meriterebbe valutazioni separate.

A Città del Messico, invece, l’abbassamento delle temperature non ha determinato una difficoltà nel centrare la working range ottimale dei compound, permettendo ai piloti di estrarre il massimo dalle Pirelli C5. E’ importante specificare che non esiste una formula matematica che relazioni, in modo preciso, le variazioni di temperatura con il miglioramento dei lap time, in quanto un singolo delta termico “non è abbastanza” per descrivere globalmente il comportamento di una F1. Esistono moltissimi altri parametri e fattori che intervengono, come ad esempio la natura del tracciato o la differenza di comportamento tra una vettura e l’altra.

Le squadre sviluppano le proprie monoposto con caratteristiche intrinseche diverse: c’è chi predilige il sottosterzo e chi il contrario. Esistono inoltre vetture che scaldano più rapidamente le gomme, mentre altre che “accendono” gradualmente alla massima prestazione delle coperture. Quindi, in conclusione, possiamo dire che sebbene le differenze siano parecchie, è comunque possibile effettuare valutazioni che prescindano dalle singole monoposto, capaci di fornire un’idea generale di questa dinamica spesso “nascosta” nelle qualifiche di F1.


Autori: Andrea Mauri – howf1works –  Alessandro Arcari – @berrageiz

Immagini: Scuderia Ferrari

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